Cultura e società

La madeleine di Proust.
Il cibo narrato dai ricordi

Martina Roncadi | 13.07.2023 | 3 minuti

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"Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava?"

Capita a tutti di trovarsi seduti a tavola o attraversare la cucina, sentire un profumo, un gusto particolare e pensare: “Questo fa parte della mia infanzia!”. Nulla è infatti più potente dei ricordi legati al cibo che si è mangiato da bambini. Ogni sapore esperito durante i primi anni di vita scaturisce una nuova memoria, ed è per questo che è più facile ricordarsene. Con la purezza e lo stupore che contraddistingue la tenera età.
Dietro a questa riflessione, si cela uno spunto letterario che, ancora oggi, viene utilizzato come metafora per descrivere al meglio i sapori, i profumi, ma anche i colori, gli oggetti che generano un ricordo forte e vivo. Trattasi della madeleine proustiana, un’espressione derivante dal celebre romanzo di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”.

Lo scrittore francese, all’interno del brano scritto circa un secolo fa, racconta le emozioni che emergono dal morso di una madeleine, tipico dolcetto francese dal sapore mandorlato e burroso. Di seguito un passaggio chiave del testo:

“…mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di bere, contrariamente alla mia abitudine, una tazza di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, cambiai idea. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano “Petites Madeleines” e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di una capasanta.
E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino di tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me… .
Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava?

Giungerà mai alla superficie della mia coscienza lucida quel ricordo, quell’istante remoto che l’attrazione di un identico istante è venuta così da lontano a sollecitare, a scuotere, a sollevare nel mio io più profondo?

E tutt’a un tratto il ricordo è apparso davanti a me. Il sapore, era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray, quando andavo a dirle buongiorno nella sua camera da letto, zia Léonie mi offriva dopo averlo intinto nel suo infuso di tè o di tiglio. “

(M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 2021, Mondadori)

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Ognuno di noi conserva dentro sé la propria madeleine.
Nel caso specifico di Proust, la madeleine trasforma la memoria olfattiva e gustativa in memoria personale, evocando i ricordi più teneri e profondi del protagonista.
Questo biscotto diventa quindi un pretesto di comunicazione, l’espediente per raccontare una storia che ha uno scopo ben preciso: dare valore alle esperienze e ai ricordi attraverso il cibo.
Con il gusto e l’olfatto, si può trasmettere un messaggio universale in grado di emozionare, narrare e quindi comunicare quello che risiede nella parte più profonda del nostro Io.
Ma la madeleine può essere qualsiasi cosa. Anche un oggetto, un profumo o un colore particolare rimasti impressi nella nostra memoria. Ecco quindi come quest’ultima si erge a vero e proprio strumento di comunicazione in grado di veicolare le emozioni più profonde.
In questo caso, lo strumento di comunicazione è una porzione dell’opera stessa: che racconta ciò che gli è stato “donato” dalla memoria e lo condivide.
Per questo, oggi più che mai, ritroviamo numerose madeleine all’interno di video, foto, pubblicità che su ogni piattaforma catturano la nostra attenzione. Alcuni tipi di cibo sono diventati dei raccoglitori di memoria per epoche passate. Basti pensare, ad esempio, al tonno “così morbido che si taglia con un grissino”, tipica madeleine anni Ottanta. Oppure, l’inglese maccheronico utilizzato da Stefano Accorsi nello spot del gelato Maxibon, in grado di ricostruire da una parte gli anni Novanta, e dall’altra la fenomenologia de I vitelloni già raccontata per immagini da Federico Fellini.
E ancora: si pensi a tutto lo storytelling basato sulla persistenza del ricordo personale utilizzato da Mulino Bianco nelle sue campagne di comunicazione recenti, che richiamano apertamente il film di culto "Il favoloso mondo di Amélie".

Possiamo dunque affermare che la memoria è il mezzo più veritiero che abbiamo a disposizione e ci permette di comunicare le nostre emozioni più profonde.

Il cibo, per quanto possa sembrarci banale, è e rimane un potentissimo generatore di ricordi. Di quali elementi della quotidianità potremmo dire altrettanto?

Martina Roncadi

Laureata in Scienze della Comunicazione, ha seguito diversi corsi di specializzazione alla Scuola Holden di Torino tra cui “Food – Design dell’esperienza gastronomica”, grazie al quale si è accesa la miccia per la scrittura nel panorama enogastronomico. Amante dei viaggi, della buona tavola e della musica indie, il suo segno zodiacale è Ariete. Si consiglia pertanto di non farla arrabbiare. Fanatica dello sport, è campionessa olimpica di junk food e di coccole al suo gatto, Giorgio.