Interviste

Roberto Restelli e l'arte di filosofeggiare in cucina

Intervista allo storico ex direttore della Guida Michelin Italia

Martina Roncadi | 14.07.2023 | 5 minuti

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“Ormai il ristorante è diventato uno dei parametri di giudizio del proprio status sociale. Personalmente mi rendo conto di non aver perso la piacevolezza e il gusto di andare a mangiare in determinati ristoranti, mentre invece c’è gente che li frequenta perché conferiscono un’esclusività sociale”

Roberto Restelli

Ci sarebbero mille modi per raccontare la persona e la figura di un uomo come Roberto Restelli, ex direttore della Guida Michelin Italia: ispettore prima, e direttore poi della Rossa, critico enogastronomico, professore.
Decido invece di provare a tracciarne il profilo partendo dal personale. Durante un pranzo di studio-lavoro il suo più che celebre amico Antonino Cannavacciuolo lo descrisse così: “Una persona sana. Roberto è una persona sana”. E in queste parole è davvero racchiusa l’essenza di un uomo come Restelli.
Il mio percorso si è incrociato con il suo nel gennaio 2022 quando, subentrando come docente a un corso che stavo seguendo presso la Scuola Holden di Torino, ho iniziato a frequentare le sue lezioni di filosofia enogastronomica. Sin da subito si è instaurata una bella sintonia, complici la mia provenienza geografica e la sua rete famigliare. Va detto però che, il vero corto circuito, è nato grazie a un dettaglio in particolare e affine al contesto di Zupppa: il cestino del pane.
Ho sempre pensato, senza però averne gli strumenti, che un buon ristorante si presenti attraverso quello che propone nel coperto, giustificando così il costo del servizio. Questo sentore mi è stato poi confermato dallo stesso Restelli il quale detesta trovare tavole e cestini spogli.
È buffo, ma è proprio grazie a questo “cestino” che ho capito che stavamo parlando la stessa lingua.

Viaggiamo nel tempo e arriviamo a oggi. È una calda giornata di sole a Varese. Il rigore della città, complice la vicinanza con la Svizzera è affascinante e crea un’atmosfera di serenità.
Ho appuntamento con lui davanti alla storica pizzeria “La Piedigrotta”, dove ad accoglierci c’è lo chef patron Antonello Cioffi (ne parleremo prossimamente).
Durante il pranzo, sviluppatosi in un menu degustazione eccezionale, abbiamo avuto modo di chiacchierare a lungo, colmando così il mio desiderio di sapere.

Roberto Restelli

Grazie per la disponibilità Roberto. Non le chiederò di raccontarmi la sua storia, ma avrei una curiosità: come le piace essere definito?

Mi ritengo prima di tutto un filosofo. Nella cucina per me l’ambito è questo: trovare il senso delle cose che uno fa. Come uno si trova in un determinato ristorante, cercare il senso dei piatti che arrivano, e perché lo chef ritiene che siano queste le cose che deve fare. La filosofia è un ambito che mi ha sempre agevolato nel lavoro che ho svolto perché riuscivo a comprendere le aspettative delle persone, anche quelle mancate. Quindi per tornare alla tua domanda sì, mi ritengo essere soprattutto un filosofo.

Parliamo invece della sua passione per il mondo enogastronomico, e solo successivamente per la Guida Michelin. Cosa lo ha avvicinato a quella dimensione e che impatto ha avuto nella sua vita?

La passione per l’enogastronomia è nata per via del trascorso della mia famiglia, in particolare per quello di mio padre (proprietario di un bar in Piazza Repubblica a Milano, ndr).
L’accoglienza e la convivialità sono dunque sempre stati nel mio DNA, ma è soprattutto per un fattore personale che si è sviluppata: la passione per i viaggi, per la cucina. La volontà di scoprire le cose e le mete sconosciute. A tutto questo poi si è aggiunto il destino. Stavo per terminare gli studi di filosofia, e mio papà vide due inserzioni sul giornale: una era “Sollecito e Recupero Crediti” e l’altra non nominava Michelin, ma si capiva che stavano cercando personale disposto a viaggiare a tempo pieno sul territorio nazionale. All’epoca avevo 25 anni, mi sembrava un’ottima opportunità. Non sapevo neanche quanto fosse un lavoro che avrei effettivamente potuto portare avanti, ma mi incuriosiva. Ricordo con affetto le parole di mia madre all’epoca: “Ma ti pagano anche per fare questa cosa?”(ride, ndr). Dopo aver superato una selezione nazionale per la Guida Michelin sono subentrato prima come ispettore, facendolo per undici anni, poi per altri undici come Responsabile della Guida, mentre nel terzo decennio mi sono occupato di comunicazione in senso generale.

Avendo quindi lavorato nell’ambito della comunicazione è consapevole di quanto sia importante per chi lavora nella ristorazione, e in generale nel food. Trova che ci siano più difficoltà o c’è più spazio per tutti?

Va detto che se pensiamo alla ristorazione, alle recensioni delle guide di venti, trent’anni fa, è cambiato completamente tutto. C’era un atteggiamento quasi “talebano”, nel senso che il critico non doveva essere conosciuto e il cuoco non doveva mai farsi vedere. La Guida era autoreferenziale, era in assoluto il mezzo di comunicazione migliore per i ristoratori per farsi conoscere anche all’estero. È chiaro che la comunicazione ha portato dei vantaggi enormi, soprattutto laddove ha trovato delle consistenze professionali. Oggi c’è gente che “comunica sul niente”, il che è un po’ sconcertante. Ci sono ristoranti nominati all’inverosimile, che però non hanno un background culturale e di tradizione che ne giustifichi la fama.
Ho sempre ritenuto che la comunicazione fosse un ottimo supporto, però effettivamente oggi c’è un po’ di deformazione. È una situazione un po’ drogata. Il punto di forza della Michelin era il fatto che si occupasse di tutt’altro, era semplicemente un supporto all’informazione. Adesso non può essere più così perché, anche nel bene, si sono aperte le frontiere della comunicazione.
Inoltre la gente fatica a comprendere che è stata la mediaticità esterna all’attività a modificare ulteriormente la percezione. Mi riferisco ai personaggi televisivi, ai blogger.
Quindi se qualcuno ha una certa solidità, bene. Chi non ce l’ha invece finisce a indurre un’idea di sé che non è reale. Ormai il ristorante è diventato uno dei parametri di giudizio del proprio status sociale. Personalmente mi rendo conto di non aver perso la piacevolezza e il gusto di andare a mangiare in determinati ristoranti, mentre invece c’è gente che li frequenta perché conferiscono un’esclusività sociale. Mi chiedo però quanto, queste persone, siano in grado di capire gli sforzi dello chef nel proporre un piatto, o nel veicolare una visione.

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A proposito di social, televisione e della fenomenologia degli “chef superstar”, tutti questi strumenti hanno modificato la percezione del cibo, manipolando figure professionali come la sua. Oggigiorno, avere una stella o far parte della Guida, ha un valore più intrinseco rispetto al passato?

Andrò per gradi. In merito alla fenomenologia degli “chef superstar” è evidente che ci sono un po’ di chef, non tutti sia chiaro, che sono diventati più dei personaggi che altro.
Veniamo da tempi in cui vi era l’opposto, cioè il cuoco non si faceva mai vedere fuori dalla cucina. Adesso è diventato un mondo per molti aspetti evanescente, di grande apparenza. Ma non è altro che lo specchio della nostra società.
Per quanto riguarda strumenti come i mass media invece, penso che oggi tocchino un pubblico diverso. I ristoratori sono sempre stati consapevoli che avere una stella all’epoca ti apriva un mondo, ti ampliava anche di un 30% il giro d’affari, quindi si facevano conoscere in un ambito diverso. La Guida era un vero e proprio strumento nel senso che, chi non conosceva una determinata zona, si affidava a essa. Chiaramente adesso i mezzi di comunicazione sono totalmente cambiati, quindi anche la Guida viene “incensata di più”: è un modo per dire che ormai è diventato comune anche il ristorante stellato, anche se stellato non è. Dico questo solo per farti capire quanto è stata presa come riferimento. Non so però se le abbia giovato. È difficile ormai “tenere salda la barra” quando ci sono dei ristoranti molto rinomati socialmente e mediaticamente. Li si va a considerare di default, seppur inconsciamente. Una volta l’intento della Guida era quello di andare a scovare la stella nei posti più disparati, anche dove pensavi che non potesse esserci. È chiaro che si amplia anche il bacino di utenza della Guida, e la sua risonanza mediatica, ma ci sono dei rischi che non devono essere sottovalutati, secondo me.

Grazie per il chiarimento. Un’altra mia curiosità era sapere se è ancora possibile oggi, nonostante tutto quello che ci siamo detti, intraprendere un percorso analogo al suo utilizzando una “via canonica”, senza quindi dover per forza passare dai social?

Lo dico con un po’ di nostalgia, ma temo che sia impossibile farlo senza passare sui social, nel senso che ormai i social dimostrano una “concretezza”. Oggi gli ispettori della Michelin sono un’esigua minoranza rispetto ai fruitori o a quelli che scrivono di cibo. Quindi riuscire a infilarsi così è una “botta di fortuna che uno può augurarsi”. Un tempo era un percorso più trasparente e lineare. Adesso per mettersi in evidenza nei confronti di una guida qualsiasi diventa estremamente difficile perché ci sono dei ristoranti che sono diventati molto famosi, ma fai fatica a comprenderne la concretezza. E quindi anche la Guida, ammesso che cerchi dei nuovi ispettori, teme da un lato che uno troppo esposto possa essere condizionato, cioè che conosca determinate persone e porti dentro degli interessi che deve cautelare. Il mondo del lavoro era molto più semplice una volta! Penso però che non si debba mai lasciare nulla d’intentato. La cosa importante è essere portatori di un messaggio che sia aggiornato e controcorrente, perché se no va avanti solo chi è più performante. Bisogna sempre portare qualcosa di sé in questa ricerca.

Roberto Restelli

Concludendo, che consiglio darebbe all’ “ispettore del futuro”?

Gli direi di guardarsi bene allo specchio e ragionare sul dove si vuole andare, capire quali sono le sue motivazioni. Molta gente si avvicina a questo lavoro solo per apparire, e questo spezza il fiato. Mappare il territorio, capire quali sono oggettivamente le opportunità e perseguirle con tenacia, questo è il mio consiglio. Se uno è in pace con sé stesso va molto più lontano di chi ha il fiato corto. Ma deve ricordarsi sempre che, al contrario di quello che si pensa, è un mondo molto più di sostanza che apparenza, e che bisogna lavorare sodo!

Martina Roncadi

Laureata in Scienze della Comunicazione, ha seguito diversi corsi di specializzazione alla Scuola Holden di Torino tra cui “Food – Design dell’esperienza gastronomica”, grazie al quale si è accesa la miccia per la scrittura nel panorama enogastronomico. Amante dei viaggi, della buona tavola e della musica indie, il suo segno zodiacale è Ariete. Si consiglia pertanto di non farla arrabbiare. Fanatica dello sport, è campionessa olimpica di junk food e di coccole al suo gatto, Giorgio.