Estetica

Pop Art, cibo e consumi

I piatti si trasformano in arte

Martina Roncadi | 14.09.2023 | 3 minuti

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La Pop Art si fa promotrice di un cambiamento culturale che, ancora oggi, rimane radicato nel nostro immaginario.

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Nell’era del consumismo il cibo è diventato il perno di un movimento artistico in particolare: la Pop Art. Con il termine Pop Art si intende un movimento artistico nato tra gli Stati Uniti e il Regno Unito verso la fine degli anni ‘50. Il nome per esteso di questa corrente artistica è Popular Art, tradotto: arte popolare, cioè l’utilizzo di oggetti, persone e ideali dell’immaginario comune riprodotti da un punto di vista più ironico, ma allo stesso tempo ricercato e sofisticato. È in questo contesto caratterizzato da colori vibranti e d’impatto che si sviluppa e consolida la rappresentazione del cibo sotto forma d’arte. Un esempio? Senza dubbio Andy Warhol e le sue numerosissime opere a tema: Campbell’s Soup Cans (1962) e Campbell’s Soup I (1968); Coca-Cola (1962); Banana album, la celebre copertina dell’album del 1967 dei Velvet Underground, “The Velvet Underground & Nico”. Andy Warhol era infatti un amante del buon cibo e in particolar modo del cioccolato, tanto che era solito rappresentare all’interno delle sue opere le sue stesse abitudini alimentari. Consumatore seriale di cibi in scatola -bandiera del consumismo di quegli anni- è riuscito a trasformare la sua passione per il cibo in arte, rendendolo un artista internazionale indimenticabile e indimenticato. Warhol, e l’intera corrente della Pop Art, si pongono al centro del linguaggio consumistico di quegli anni, complice l’avvento dei cibi industriali. Roy Lichtenstein e Rosenquist James sono solo due dei tanti esponenti che hanno preso parte al movimento, così come artisti del calibro di Mario Schifano e Mimmo Rotella in Italia, che hanno seguito il flusso creando opere dal sapore attuale e anticonformista per rappresentare questo nuovo modo di consumare e desiderare il cibo.

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In questo contesto, la Pop Art si fece promotrice di un cambiamento culturale che, ancora oggi, rimane radicato nel nostro immaginario. Il cibo diventa a tutti gli effetti una nuova forma di piacere, sia visiva che gustativa, e si inserisce sempre più nella ricerca e nelle abitudini delle persone. Basti pensare come oggi sia diventato irrinunciabile uscire a cena, evitando lungaggini di spese serali e organizzazione, o come consumare piatti pronti sia un escamotage per evitare di cucinare dopo una lunga giornata di lavoro. Anche inglesismi come take away e delivery sono entrati a far parte del nostro vocabolario a tutti gli effetti, e hanno convertito la cena delle famiglie medie italiane nel binomio “Divano & Tv”, nonché in una nuova forma di divertissement per i più piccoli. La stessa televisione poi, si erge ad amplificatore di tutto questo nuovo modo di parlare di cibo, catalizzando l’attenzione verso i prodotti e inserendoli nel linguaggio comune. Il product placement nelle serie tv e nei film è infatti diventato la prassi per le grandi aziende del food che decidono di partecipare alla realizzazione di queste opere, cercando di monetizzare e incrementare le proprie vendite proprio attraverso questo posizionamento.

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L’effetto collaterale di questa modernità espressa sotto forma di merendine, crackers e patatine, che mise da parte l’ideologia del pasto preparato e consumato sul momento, venne alla luce qualche decennio dopo con l’esordio di malattie come l’obesità e il diabete. Tutto ciò che all’epoca faceva impazzire le persone, avrebbe poi comportato danni irreparabili, innescando un meccanismo di maggiore controllo e attenzione nei confronti di questa tipologia di cibo.

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Cosa ci rimane oggi? Sicuramente un’inversione di rotta nel consumo di cibi in scatola e una maggiore consapevolezza delle nostre abitudini alimentari. La bellezza di opere come quelle di Warhol che, nonostante il passare del tempo, rimangono una delle forme d’arte più replicate e amate dal mondo intero. Ma soprattutto, la volontà di goderci sempre più un piacere unico e universale come il cibo e le sue infinite declinazioni!

Martina Roncadi

Laureata in Scienze della Comunicazione, ha seguito diversi corsi di specializzazione alla Scuola Holden di Torino tra cui “Food – Design dell’esperienza gastronomica”, grazie al quale si è accesa la miccia per la scrittura nel panorama enogastronomico. Amante dei viaggi, della buona tavola e della musica indie, il suo segno zodiacale è Ariete. Si consiglia pertanto di non farla arrabbiare. Fanatica dello sport, è campionessa olimpica di junk food e di coccole al suo gatto, Giorgio.