Interviste

Lunga vita alla frutta! E alla carta.

Intervista a Claudio Dall’Agata, Direttore Generale Consorzio Bestack

Martina Roncadi | 14.02.2024 | 7 minuti

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Le parole, i volti, le scelte e le scommesse del settore più amato dagli italiani

"La sostenibilità, se autentica, seria, vera, scientificamente inoppugnabile e correttamente comunicata, ha delle grandissime opportunità"

Claudio Dall'Agata

Si parla sempre di quanto sia bella l’Italia nelle sue mille sfaccettature: la sua storia, la sua arte, il suo lifestyle, il suo cibo. Quest’ultimo, in particolare, è riconosciuto in tutto il mondo come sinonimo di gusti inimitabili e genuini, di sapori non replicabili altrove. Tutto questo, anche se spesso non ci si pensa, lo si deve alla bontà di nostri frutti e dei nostri ortaggi. Dagli agrumi di Sicilia, ai pomodori campani. E ancora, il Basilico Genovese DOP, le albicocche di Romagna. Tutti prodotti Made in Italy.

La filiera della frutta e verdura italiana è dunque fortissima, e lo dimostra il recente successo di Fruit Logistica, la fiera leader a livello globale dedicata all’ortofrutta che si celebra ogni anno a Berlino. L’Italia si è dimostrata di essere ancora una volta il Paese con il maggior numero di espositori, incidendo sul mercato estero sia in termini di export che di qualità. In questo contesto, si inserisce l’universo del packaging ortofrutticolo, che passa spesso inosservato ma non per questo è meno importante. Non solo produttori di packaging ma anche consorzi dedicati alla promozione, comunicazione e ricerca del settore. Ricerca in termini di sostenibilità ambientale, di logistica ed economia. Uno di questi è il Consorzio Bestack, fondato da una serie di produttori di cartoni ondulati che opera per promuovere e orientare il settore verso la ricerca.

In occasione dell’uscita del libro “100 volti dell’ortofrutta italiana”, un saggio che raccoglie cento interviste e aneddoti a volti noti del settore ortofrutticolo italiano, abbiamo chiesto al Direttore Generale di Bestack, Claudio Dall’Agata, di raccontarci meglio le dinamiche che si celano dietro al consorzio e la decisione di voler raccontare, attraverso i volti del settore ortofrutticolo, il meglio del Made in Italy. Il tutto per una buona causa: i diritti del libro verranno infatti devoluti a C.A.B. Ter.RA, cooperativa agricola ravennate che, a seguito dell’alluvione in Romagna del maggio scorso, ha contribuito a salvare la città di Ravenna rompendo l’argine del canale Magni, provocando la scomparsa, e conseguente perdita, dei propri terreni e delle proprie culture. Un gesto eroico che merita di essere ripagato.

Buongiorno. Mi racconti brevemente chi è Claudio Dall’Agata:

Sono prima di tutto un appassionato del mio lavoro, e questo fa si che almeno in termini di attitudine ci sia una propensione a cercare strade conosciute per sviluppare la propria attività. Il ruolo di Bestack è quello di fare ricerca e promozione nel settore delle scatole di cartone ondulato per ortofrutta, facendo quindi crescere l’opportunità di utilizzo delle stesse, in particolare quelle prodotte dai nostri soci. Per rispondere alla tua domanda, Claudio è un appassionato del suo lavoro, e cerca di farlo in maniera approfondita, creativa, e in maniera più laterale concentrandosi sul core business di Bestack e tentando di sostenerlo in maniera varia. Mi definisco un amante della comunicazione, ma non un professionista della comunicazione. Inoltre, credo di essere molto fortunato, perché mi fanno fare quello che ritengo giusto fare, e all’interno di questo riesco anche un po' a restituire: seguo infatti un progetto dell’Alma Mater Studiorum di Bologna all’interno del Dipartimento di Scienze Aziendali che si chiama Basement Club, in cui tento di orientare i ragazzi verso un’attitudine professionale che faccia leva sulle loro curiosità e competenze.

Per il consorzio è importante valorizzare la ricerca, aspetto che si inserisce benissimo all’interno del contesto universitario che mi ha appena accennato. Esattamente, in cosa consiste Bestack?

Bestack nasce nel 2004 come consorzio tecnico di ricerca e promozione, con l’obiettivo di ridurre i punti di debolezza del settore e migliorarne i punti di forza. Abbiamo un approccio strettamente tecnico: oggi la stragrande maggioranza degli imballaggi di cartone per ortofrutta, i quali hanno tre formati sul mercato (60x40, 50x30, 30x40), mantengono tutti le stesse dimensioni al millimetro, un aspetto del quale nessuno si è reso conto. Va detto, però, che questo ha consentito dei grandi miglioramenti. Per esempio, una scatola di pomodori Pachino prodotta da International Paper, una delle aziende del nostro consorzio, sta esattamente sopra o sotto una scatola di arance prodotta da Ghelfi Ondulati a parità di formati. Questo è stato l’inizio, poi siamo passati alla prestazione, quindi alla resistenza.

Oltre alla dirigenza di Bestack, ha di recente scritto un libro dal titolo “100 volti dell’ortofrutta italiana”. Di che cosa parla?

"100 volti dell’ortofrutta italiana" non è un vero e proprio libro, ma uno strumento di business. Mi ha consentito di conoscere meglio persone che già conoscevo, ma in una chiave diversa. Inevitabilmente, questo saggio dice anche molto di me: l’essermi messo in prima persona nel creare questo progetto è stato necessario per costruire relazioni durevoli. Penso infatti che la relazione venga prima della partnership, e non viceversa. Mi piace l’idea di poter “togliere la copertina” alle persone, significa guadagnarsi la fiducia delle persone. Nel libro, in queste cento interviste, si possono leggere piani umani molto differenti: ci sono persone che hanno scelto di esporsi di più, altre meno. Persone che si aspettavano di essere contattate e mi hanno chiesto perché non le avessi chiamate, quindi certamente è il risultato di una fiducia reciproca, nonché la premessa per un nuovo rapporto. Ad oggi possiamo definire questo libro -per chi è interessato al tema, chiaramente- un piccolo bignami in termini di profilo delle persone.

100 volti dell'ortofrutta italiana

Con quale criterio ha scelto i personaggi da intervistare e da inserire all’interno di questo volume?

Il primo aspetto è stato l’empatia personale, quindi la conoscenza. Al di là dei ruoli, questo credo che sia un elemento che smarca tanti temi. Ho cercato di rappresentare tutta l’Italia e, nel farlo, ho chiamato le persone che conoscevo, con cui ero più in sintonia, perché ero certo che si sarebbero concesse di raccontarsi.


Dove lo possiamo trovare?

Il volume, edito da Il Ponte Vecchio, è possibile trovarlo in libreria e online. Penso che renderlo disponibile in libreria sia un regalo, poi l’idea sarà quella di regalarlo alla grande distribuzione e farlo diventare una sorta di “volume senza tempo, un piccolo bignami.

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Tornerei a Bestack soffermandoci su un altro tema, molto importante, che è quello della sostenibilità ambientale. Attraverso quali processi le aziende che fanno parte del consorzio riescono a rendere i prodotti sostenibili?

È un tema enorme. C’è poca chiarezza, poca conoscenza e molta speculazione, quindi si fa fatica a decidere una strada. La sostenibilità costa ma non viene valorizzata, non viene riconosciuta perché tutti la raccontano a modo loro. Ad oggi è un investimento a perdere, però abbiamo iniziato a muoverci sempre per mezzo della ricerca e della comunicazione. Mantenere il rapporto peso- prodotto contenuto e peso della scatola, migliorare il riciclo e massimizzarlo il più possibile. Dal punto di vista della comunicazione invece, il vero problema non è quanto impatta l’imballaggio, ma quanto il consumatore compra al supermercato. Se sui prodotti che compriamo ci fossero le categorie dell’impatto ambientale, allora credo che si potrebbe parlare di una buona comunicazione. Anche perché solo il 5% dell’impatto ambientale deriva dal packaging, mentre il resto lo fanno gli aspetti produttivi, la trasformazione e la distribuzione. Diverso invece è lo spreco alimentare, che tocca la soglia del 9%: paradossalmente un imballaggio, per essere sostenibile, dovrebbe fare in modo di non far sprecare il prodotto che contiene. Inoltre, e ci tengo a sottolinearlo, siamo uno dei pochi settori che oggi ha la possibilità di marchiarsi Made Green in Italy, cioè un profilo di prodotto più ambientale degli altri.


Se ci fosse maggiore trasparenza nei confronti del consumatore, rispetto all’impatto ambientale che il “contenitore” di certi prodotti può avere sull’ambiente, secondo lei cambierebbero anche le abitudini di consumo? Oppure siamo ancora indietro rispetto a questa sensibilizzazione?

Diciamo che il consumatore è sempre più avanti di noi, ma gli vengono comunicate male le cose. Ci sono persone che faticano ad arrivare alla terza settimana del mese, altre che prima andavano al supermercato e ora vanno al discount, altre ancora che non hanno cambiato stile di vita, mentre alcune sono profondamente attente alle scelte che fanno e al benessere. Sto dicendo che bisogna avere consapevolezza dei diversi segmenti di mercato e capire quali sono le logiche di ciascun segmento. Se fosse chiara la promessa che un prodotto sostenibile fa, io credo che qualcuno la riconoscerebbe. Le scelte di benessere credibili sono ad oggi scelte premianti, anche perché la sostenibilità è un tema etico straordinario, ma molto strumentale dal punto di vista strategico. Le generazioni di oggi danno per scontato la raccolta differenziata, che non si buttano per strada i mozziconi di sigaretta, mentre le generazioni passate lo fanno con grande serenità. È un tema molto ampio e strettamente culturale: la sostenibilità, se autentica, seria, vera, scientificamente inoppugnabile e correttamente comunicata, ha delle grandissime opportunità. Ma ci vogliono tante risorse, competenza e, soprattutto, sono necessarie le relazioni.


All’estero è un po' diverso? Ci sono paesi in cui questa comunicazione arriva più diretta rispetto al nostro?

Credo che i fattori culturali e d’interesse siano profondamente collegati. Come fattore culturale penso all’attenzione all’ambiente che pone la Germania, piuttosto che i Paesi del Nord. C’è un tema di cui non si parla: il Parlamento Europeo sta approvando delle norme che spingono verso la riduzione degli imballaggi monouso, specialmente di plastica. Non entro nel merito del conflitto tra le parti, dico però che bisognerebbe essere molto pragmatici e scientificamente rigorosi nel capire qual è la vera sostenibilità senza far confliggere sistemi diversi. Il Nord Europa punta sul riuso perché ha sistemi di riciclo inefficienti; l’Italia, per contro, punta invece sul riciclo perché ha un sistema molto più attivo: ricicliamo oltre l’80% della carta e cartone che mettiamo sul mercato, e con l’utilizzo energetico arriviamo quasi all’88%, quindi siamo straordinariamente più bravi. Non solo, ma la carta che utilizziamo per imballaggi a contatto con gli alimenti deriva, per motivi alimentari, da foreste vergini che sono piantate per essere abbattute. È un fattore culturale e un fattore d’interesse, e si possono cambiare entrambi.

Progetti futuri?

Assolutamente sì! L’obiettivo è quello di far luce su come utilizzare le scatole di cartone, per essere vincenti sul mercato ortofrutticolo e vendere meglio. In prospettiva diciamo che desidero continuare a lavorare sugli imballaggi attivi, quindi quelli che aumentano la shelf life del prodotto nella grande distribuzione, e fare cultura al consumatore spiegandogli che, la vera sostenibilità, sta nel non sprecare, aiutandolo così a scegliere imballaggi che aumentino la vita di scaffale. Un altro sogno sarebbe quello di riuscire a dare un contributo affinchè, l’ortofrutta italiana, si manifesti e sia oggetto di una percezione migliore: mangiare frutta e verdura lo si fa perché piace, perché è buona e poi, solo successivamente, perché è uno degli alimenti più salutari che ci siano. Invertire quindi il meccanismo: non mangiare frutta perché fa bene e ti salva la vita, ma perché è buona. L’Italia è il paese con il maggior numero di IGP e DOP, specie nel settore ortofrutticolo. Io e il consorzio ci stiamo impegnando in questo attraverso Spettacoli alla Frutta, un progetto che abbiamo promosso e ideato noi e che coinvolge 25 aziende, una per ogni prodotto selezionato. È un evento di “comunicazione spettacolare”, con flashmob messi in atto da 25 personaggi differenti, uno per prodotto: ci sarà la mela, la carota, la pesca e così via, e ogni prodotto viene rappresentato da un brand. Lo faremo in 32 punti vendita della grande distribuzione, in tutta Italia. Raccontare la storia dell’ortofrutta, dove si trova e in quale stagione matura, credo che oggi come oggi funzioni molto di più di altro. Avere una comunicazione personale e diretta è una strategia vincente, e continueremo a impegnarci anche per questo.

100 volti dell'ortofrutta italiana

Martina Roncadi

Laureata in Scienze della Comunicazione, ha seguito diversi corsi di specializzazione alla Scuola Holden di Torino tra cui “Food – Design dell’esperienza gastronomica”, grazie al quale si è accesa la miccia per la scrittura nel panorama enogastronomico. Amante dei viaggi, della buona tavola e della musica indie, il suo segno zodiacale è Ariete. Si consiglia pertanto di non farla arrabbiare. Fanatica dello sport, è campionessa olimpica di junk food e di coccole al suo gatto, Giorgio.